lunedì 29 ottobre 2007

Qui non si sa piu' quanto stiamo antanto su questa tera!

Vestita interamente di nero, piercing al di sopra del naso in mezzo agli occhi, trucco accentuato fatto di colori funerei a nascondere la naturale solarita' degli occhi di una ragazza adolescente.
Capelli di un giallo ostentatamente fasullo, a tratti lunghi a tratti rasati fino alla cute.
E' seduta sul treno, in mano il cellulare collegato con gli auricolari ad ascoltare musica. Da sola.
Il cellulare squilla, quella specie di piccola premonizione data dal vibracall la fa rispondere in una frazione di secondo: e' Titta. Titta deve essere la sua amica del cuore, almeno a giudicare dall'entusiamo adolescenziale che si sprigiona dalla sua voce e dall'espressione del suo viso e che nessun fondo tinta puo' nascondere. Ha comprato la tinta viola a Torino, Titta deve assolutamente andare a casa sua stastera, per farle la tinta; si dopo cena va bene, poi stasera parleranno anche del concerto a Milano e del biglietto che "te lo regalo io, non ti preoccupare".
La telefonata si conclude. E' ancora visibilmente felice. Di quella felicita' pura, semplice, sincera: quel tipo di gioia che nessun acquisto, nessun regalo, nessun oggetto materiale ti puo' dare.
Se al posto mio, seduto sul treno, ci fosse stato un non vedente, avrebbe dato a quella voce entusiasta il volto di una ragazzina acqua e sapone, magari con il grembiule e il fiocco.
Adesso la musica continua a sentirla, ma la canticchia pure, chiudendo gli occhi.
Succede ancora: "Pronto! Ciao Titta!". Ancora Titta?
No. E' un'altra titta: tutte le sue amiche le chiama titta.
"Sto tornando... si ho comprato la tinta viola ... no viene stasera a casa mia ... no, non so se usciamo, magari dopo la tinta ... ciao titta ... ciao".
Il tono e' quello di prima: semplicemente contenta.
Passa qualche minuto, altro squillo. Stavolta niente entusiasmo, niente sorriso ... niente titta.
E' il padre della ragazza, che deve prenderla alla stazione: il colloquio ha dei toni depressi, il tono di voce della ragazza e' infastidito, sembra che le parole ascoltate la stanchino irrimediabilmente.
Mi dico che e' normale forse: quale adolescente non ha avuto il rifiuto dei propri genitori e delle loro idee" senza senso", dei loro discorsi "vecchi"?
E' solo che questa ragazza lo incarna quel sentimento che tutti abbiamo provato, con il suo abbigliamento e il suo modo di essere ... o forse di voler essere. Avrei voluto essere un bravo disegnatore, per fissare su un foglio quel volto che mi ha colpito tanto per cio' che rappresentava.

Col tempo si impara che a volte le idee dei propri genitori non sono cosi' "senza senso" e che i loro discorsi non sono cosi' "vecchi".

Un giorno forse lo scoprira' anche lei, come siamo destinati a scoprirlo, prima o poi, quasi tutti.

Ecco la strofa della canzone di Eric Clapton che mi ha ispirato
...
Then the light begins to shine and I hear those ancient lullabys.
And as I watched this seedling grow, feel my heart start to overflow
When will I learn the words to say? How do I teach him? What do we play?
If I did, I'd realize
That's when I need him, that's when I need my father's eyes.
...

My Father's Eyes - Eric Clapton

3 commenti:

M.S. ha detto...

....ma, piercing tra gli occhi a parte...almeno era gnocca?
Tuo, Titto

maxive ha detto...

Mario, ti prego! Era una ragazzina! Mica mi metto a guardare le ragazze in quanto gnocche!
Comunque no. Se mi dici come si toglie il rumore dello scatto dalla fotocamera dell'N70 la prossima volta scattero' qualche foto, come fa qualcuno che conosciamo ;)

ILaNira ha detto...

bella questa riflessione co-compleanno, la descrizione dei tratti della ragazza me l'ha fatta immaginare...è esattamente la donna che fa per mario
Haloa, Titta 3