lunedì 28 gennaio 2008

Dialogo N3l Buio.

Da piccolo avevo paura del buio.
In realta' non solo da piccolo.
Diciamo che ho smesso di avere paura del buio da poco.
Da quando vivo solo non avere piu' paura del buio e',piu' che altro, una necessita': come il fatto di imparare a stirare o cucinare, ne' piu' ne' meno.
Ancor piu' paradossale e' considerare che la mia non fosse paura del buio in generale, ma paura del buio in condizioni di solitudine: per intenderci, avrei potuto camminare per ore la notte in un bosco della Transilvania, ma affrontavo con difficolta' di entrare senza accendere la luce in una stanza se a casa non c'era nessuno.
Comunque, mi sono messo alle spalle anche questa fobia atavica.
Dunque non faccio piu' caso al buio, alle stanze buie, le porte aperte nelle delle stanze buie e cosi' via.
Almeno fino a venerdi scorso.
Quanto mi piacerebbe, adesso, avere le capacita' letterarie di Edgar Allan Poe e terrorizzarvi con un racconto del mistero :)
Vabbe'. Sara' per un altra volta.

Venerdi sera dunque, cosa sara' mai successo?
Mi accingo ad un prolisso (da buon merdionale che si perde in ogni dettaglio inutile) racconto dei fatti partendo da qualche tempo prima.

Milano offre una serie infinita di occasioni di svago e di divertimento: alcune di queste si traducono in "posti trendy" e "gente giusta" stile Lucignolo (evito ogni forma di commento); altre, che io preferisco, riguardano la cultura intesa nel suo significato piu' ampio di conoscenza delle forme di espressione e comunicazione della natura umana.
Detta questa frase inutile, sta di fatto che ci organiziamo, insieme con mio cugino Angelo (uomo di pessimo carattere [:-D] di cui parlero' un giorno) per vivere questa nuova esperienza organizzata dall'Istituto dei Ciechi di Milano e chiamata appunto "DIALOGO N3L BUIO".
Si tratta, in sostanza, di passare una serata intera da "non vedenti": di vivere questa condizione per qualche ora assieme ad altre persone. L'obiettivo non e' quello di trovare solidarieta' dai "normodotati", ma quello di far conoscere a questi ultimi un'altra prospettiva da cui poter considerare la vita di tutti i giorni: non e' una simulazione, quanto piuttosto la possibilita' di scoprire la completezza dei nostri sensi.
Cosi ci troviamo di fronte all'istituto, in centro a Milano io, Angelo, la sua amica Raffaella e il di lei compagno (di cui non faccio il nome per questioni di privacy). Siamo pronti, entriamo, approfittiamo dei bagni (il "giro" dura circa un'ora e un quarto), e facciamo il biglietto. Al nostro giro partecipano altri due elementi, un ragazzo e una ragazza.
Siamo invitati a depositare ogni oggetto che possa essere fonte di luce (cellulari, orologi, accendini) negli armadietti, veniamo accolti in un'anticamera scarsamente illuminata, dotati di bastone guida e messi a conoscenza di cio' che ci aspetta ... e qui si fa viva una certa irrequietezza. Fra poco, infatti, faremo ingresso in un ambiente in cui e' stata creata una condizione di assenza totale di luce, una condizione che e' quasi impossibile trovare nella realta' che conosciamo; "se qualcuno avesse dei problemi, - dice la voce del ragazzo che ci spiega il tipo di esperienza a cui stiamo andando incontro - potra' farlo presente e sara' condotto fuori in pochi secondi". Questa che vuole essere una rassicurazione, suona, in realta' nella mia testa come tutt'altra cosa. Mi ritorna in mente la mia vecchia paura atavica e mi domando se la sensazione che potrei essere in procinto di provare non sia per caso l'equivalente delle vertigini per chi soffre l'altezza e il vuoto. Mi preoccupo un po', ma, impavido (come tutti i cacasotto) mi metto alla testa del gruppetto che entrera' nell'ambiente in cui saremo immersi per le prossime ore.
Muovo i primi passi costeggiando la parete (come da istruzioni impartite) e lascio a poco a poco gli ultimi fiochi accenni di luce dell'anticamera, giro un angolo ed eccolo: IL BUIO. Il buio assoluto, come mai mi era capitato.
Dire che la sensazione che ho provato e' indescrivibile e' banale esatto: la totale assenza di riferimenti certi mi porta istintivamente a mantenere un contatto con la parete; d'istinto mi tocco il viso in un gesto di conferma della mia esistenza; i miei occhi non vedono nulla, nemmeno i movimenti della mia mano di fronte al mio naso; tenere gli occhi serrati o spalancati e' perfettamente equivalente (questo ce lo avevano detto).
Non provo paura, ma sono confuso; mi sento come in bilico, ma non so su cosa.
Questa sensazione dura una frazione di secondo: il tempo di essere raggiunto dalla voce squillante della nostra guida: Matteo. La voce di Matteo e' decisa, disinvolta, rassicurante. Si presenta e ci porge la mano. La stringo con tutte e due le mie mani, in un gesto di gratitudine per avermi tolto da quel vuoto in cui mi ero bloccato. Ci presentiamo tutti, impariamo velocemente i nostri nomi e mi accorgo che al buio i nomi si imparano subito: li imparo subito anch'io che non me li ricordo mai. Matteo ci spiega che andremo alla scoperta del mondo che gia' conosciamo ambiente dopo ambiente, che lui ci guidera' attraverso questa esperienza con la sua voce e ci fa un unica raccomandazione: i bastoni bassi, altrimenti diventa un incontro di scherma :).

Il primo ambiente e' un giardino, lo si avverte da subito quando ci si sente la ghiaia e l'erba sotto i piedi. Matteo ci guida con la voce, ci raccomanda di non fare trenini fra di noi e ci invita a prendere coscenza del posto in cui ci troviamo attraverso tutti gli altri sensi.
In questo ambiente faccio una passeggiata tra le piante, seguo una staccionata, mi scontro contro una panchina (il bastone si deve sempre utilizzare cazzo!) e alla fine, sento l'acqua scorrere e la tocco ... e devo dire che l'acqua e' molto facile da visualizzare.

Dal giardino passiamo alla spiaggia, attraversiamo il pontile, saliamo in barca e facciamo un giro.
Fa un po' Gardaland, ma ci sta.

Dalla barca entriamo in una casa e andiamo in giro un po' da soli scambiandoci gli oggetti trovati e facendo attenzione a rimetterli bene a posto (e vi assicuro che non e' facile).

Ormai utilizzo il mio bastone con disinvoltura, cammino piu' spedito, piu' a mio agio: penso di essermi un po' abituato. Qui accade una cosa che mi lascia a riflettere un po': sto girovagando un po' per la casa, senza parlare con nessuno, senza punti di riferimento sonori per vedere come me la cavo; perdo un po' la cognizione dello spazio e all'improvviso sbatto leggermente contro qualcuno: e' Matteo, che spostandosi veloce per prepararci al prossimo ambiente, incrocia la mia goffa traiettoria. Non ho il tempo di capire ne' di parlare che lui mi fa' "scusa Massimo". Mi chiedo come abbia fatto: per un attimo ho l'istinto ridicolo di pensare che lui abbia il potere di vederci e quindi abbia un senso in piu' rispetto a noi.

Pensando queste assurdita', continuo la mia esplorazione e mi avvicino agli altri
Fino a quando non si cambia ambiente e si scende in strada.

Fra marciapiedi, semafori, strade, macchine, scopro che il rumore si trasforma in frastuono quando arriva alle mie orecchie ormai da un'ora tese a carpire ogni minimo rumore: ogni rumore, infatti, e' un'indizio su cio' che mi circonda, su chi mi sta vicino, su quale puo' essere la mia posizione e il mio orientamento.
Nell'ambiente cittadino mi sento completamente perso: svaniscono tutte le piccole conquiste precedenti.

E' passata piu' di un'ora: il giro e' finito e andiamo al pub. Prendiamo posto, ordiniamo, bevicchiamo e mangiucchiamo.
Scambiamo due chiacchere, qualche impressione, conosciamo meglio Matteo e ci raccontiamo un po' di noi. Ci metto piu' di mezz'ora a capire che la musica di sottofondo non e' un disco ma una strepitosa pianista che verra' a farci un po' di compagnia. Deludo un po' Matteo quando gli spiego che, di tutta quest'esperienza mi manca un ricordo: nel senso che mi ricordo cosa ho toccato, cosa ho ascoltato, ma ho il vuoto su dove possa essere stato.
Matteo ci deve lasciare: e' arrivato un altro gruppo di persone a cui fara' da guida. Lo salutiamo ringraziandolo per quanto ha fatto per noi e per la sua cortesia.

Ci tratteniamo a discutere piacevolmente senza fretta e si ha la sensazione (almeno io ce l'ho) che al buio si sia piu' disinvolti, piu' aperti.

Alla fine, dopo un'oretta, decidiamo di andare.
Veniamo accompagnati all'uscita dalla pianista con cui nel frattempo abbiamo fatto amicizia e, uno dietro l'altro, ritroviamo la luce persa piu' di due ore prima.

All'uscita mi accorgo fondamentalmente di due cose:
- le persone che non conoscevo ed ho conosciuto al buio sono completamente diverse da come me le aspettavo (e cio' non fa che confermare che il fattore estetico influenzi in larga parte le impressioni che abbiamo quando conosciamo qualcuno);
- non sapro' mai com'e' fatto Matteo: l'ho conosciuto ma non l'ho mai visto.
E' questa l'ultima "vera simulazione" della serata.


Per chi volesse informazioni o fosse interessato a prenotare una serata come questa.
http://istciechinew.stage.webresults.it/document.aspx?idMenu=45

domenica 20 gennaio 2008

Pizza al det[taglio]

Recupero vecchio Blog - 3 Aprile 2006

Menomale che ci sono i post del vecchio Blog, altrimenti sarebbe lampante la lentezza con cui aggiorno questo!

Ecco, appunto, una mia vecchia considerazione.
Per inquadrare il contesto "storico-sociale" in cui mi trovavo: ero andato a vivere a Roma da poco tempo e, tesista in azienda, avevo a disposizione una riserva finanziaria non proprio invidiabile; per questo ero piu' attento che mai alle voci in uscita nel bilancio ...

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Non so perchè, oggi mi sento cronista e vorrei tracciare una breve e stupida storia degli ultimi 20 anni della pizza al taglio. Si sà che le cose piùstupide spesso corrispondono a verità . Un tempo, quando ero bambino, l'unità di misura della pizza al taglio era la PORZIONE.
Si stava bene allora! Con mille-millecinquecento lire, chiunque (dal bambino affamato, all'operaio, al manager rampante) aveva diritto alla sua porzione, uguale per tutti. Democratica. Una certezza insomma.
Poi vennero gli anni novanta e venne introdotta una nuova, diabolica, modalità di vendita: la pizza a peso. Che guaio! Adesso lo scenario era cambiato: in fila c'erano ancora il bimbo affamato, l'operaio in pausa, il manager rampante, ma stavolta a regolare la dimensione della pizza non era solo l'appetito, ma anche la PECUNIA.
Sul fronte degli esercenti, poi, venne escogitata una truffa infame che voleva che la pizza non venisse cotta a dovere per aumentarne il peso e guadagnare di più a parità di ingredienti utilizzati.
Oggi c'è l'euro. Chi ci ha amministrato ha pensato bene di sbattersene i c******i di monitorare l'aumento ingiustificato dei prezzi, di imporre sanzioni, di predisporre controlli ad hoc sul territorio. Così ci ritroviamo con una svalutazione del denaro che "normalmente" si sarebbe avuta in 30 anni; noi italiani l'abbiamo avuta in 3.
Bene. Allora prendiamo la pizza al taglio come cartina di tornasole di questa dissertazione economica "terra-terra" che mi sono azzardato a fare per divertimento.
La parola "porzione" ormai è diventata vetusta, arcaica, in disuso. E' evocativa di qualcosa di corposo, buono, appagante. Provate a pronunciarla pensando alla pizza. PORZIONE. Che parola piena, solida, confortante. Adesso però non si usa più: perchè la porzione è un unità di misura, non può significare niente che sia variabile, dipendente da quanto si è disposti a spendere.
Adesso si usa la parola "trancio". Che parola triste! Sembra non avere significato. E infatti non ce l'ha: vuol dire un bel quadratone per il bambino viziato, vuol dire un rettangolino per il bambino sfigatino che non sa se fare merenda o comprarsi le figurine. Trancio. Sembra una cosa andata a male, da buttare. Non saprai mai quanto ti costa un trancio fino a quando non lo vedi sulla bilancia; e a quel punto è troppo tardi: è già tuo.
Spesso, purtroppo, sono costretto a pranzare fuori. Non essendo finanziariamente "libero", mi accontento di prendere un trancio (appunto) di pizza in una delle tante pizzerie che lungimiranti imprenditori hanno fatto venir fuori da ex magazzini di 20 metri quadri nel quartiere. Sapevo che certo non avrei speso poco, ma non mi immaginavo quanto piccolo fosse il trancio che corrisponde a un euro (duemila lire) di pizza margherita (perchè più è farcita più costa)!
Ora, per condividere con voi questo mio stupore, andrò a descrivere in maniera empirica il trancio in questione:

-Guardate sulla tastiera (italiana) del vostro pc;
-Mettete l'indice della mano sinistra sulla lettera "w",
-Mettete l'indice della mano destra sulla lettera "p",
-Mettete il pollice della mano sinistra sulla lettera "z",
-Mettete il pollice della mano destra sul segno di interpunzione ".",

Ora unite con dei segmenti immaginari le quattro dita e avrete realizzato l'esatta misura del trancio di pizza margherita da un euro!

Bene. Quindi abbiamo visto come, negli anni, le unità di misura siano state la PORZIONE, il GRAMMO, il TASTO.
Non mi meraviglierei, fra qualche anno, di constatare che l'unitàdi misura della pizza al taglio sia il PIXEL!
Buon appetito!

lunedì 14 gennaio 2008

Due risate non possono far male a nessuno

E' da un po' che non posto niente per i miei soliti problemi di lavoro/pigrizia/ignavia.
Voglio ringraziare pubblicamente il mio amico Mario, che ha speso parole troppo lusinghiere per questo mio contenitore di pensieri sparsi di pensieri sul suo settimaarte.
Invidio molto il blog di Mario: interamente dedicato al mondo del cinema, e' come dovrebbero essere tutti i blog: preciso, circostanziato, utile e chiaro; gli interventi, supportati da una profonda conoscenza degli argomenti, sono puntuali e mai banali, senza alcuno spazio per i preconcetti o le prese di posizione (tranne, forse, nei confronti della bellezza di Monica Bellucci, dinnanzi alla quale, il nostro Mario, si stende a tappetino) .
Un punto di riferimento, insomma, per chi sia interessato al mondo del cinema.
Complimenti Mario!

Detto questo ...
... ogni tanto penso che dovrei postare qualcosa di divertente o di utile e non le mie solite considerazioni.

Per cui oggi voglio farvi fare due risate ...
e in questo mi aiutera' il piu' grande dei comici contemporanei.
Buona visione.

martedì 1 gennaio 2008

Motti conviviali

Buon Anno!
Stilo una breve classifica (soltanto il podio) delle frasi piu' celebri e utilizzate durante i vari pranzi/cenoni di queste festività.

Al TERZO posto - All'arrivo del primo dei primi
"Senti che silenzio ... parla Agnesi"
Motto scherzoso a sottolineare la fame atavica di tutti i commensali che, dopo aver spazzolato con ingordigia gli antipasti, sentono quello come vero inizio della celebrazione culinaria e, complice uno stato emotivo di completa "giustificazione all'eccesso", si sentono in corpo le forze necessarie per la lunga maratona

Al SECONDO posto - All'arrivo della frutta
"Non ho proprio spazio"
Detto sottolineato dalla gestualita' tipica di portare alla gola una mano con le quattro dita non opponibili piegate a 90 gradi rispetto al palmo ed effettuando, con la stessa, una o piu' oscillazioni orizzontali mentre si spalancano gli occhi. Nel 99% dei casi, le stesse persone che la pronunciano sono le prime ad avventarsi sui dolci tre minuti dopo.

Al PRIMO posto - Alla fine dell'antipasto
"Certo che potremmo finire anche qui!"
La frase e' di certo l'apoteosi dell'ipocrisia e meriterebbe l'espulsione immediata dei commensali che la pronunciano.

W la pancia che si puo' riempire in allegria!